Inclusione, questa sconosciuta.

Negli ultimi anni nelle scuole italiane, specialmente in quelle pubbliche, si parla sempre più di inclusione, ossia della creazione di ambienti di lavoro inclusivi, in grado di accogliere le diverse modalità di apprendimento degli allievi.

Creare un ambiente inclusivo però non vuol dire solo riconoscere che ci possono essere specifiche modalità di apprendimento, ma anche riuscire a integrare il funzionamento dei singoli all’interno del gruppo classe, vuol dire strutturare il lavoro in classe in modo tale che gli allievi possano imparare e partecipare tutti insieme.

L’inclusione non riguarda solo le modalità di apprendimento dei singoli, si tratta del diritto fondamentale di tutti di sentirsi parte della società in cui si vive e ci si muove, indipendentemente da etnia, età, genere sessuale, orientamento sessuale, disabilità, credenze religiose e culturali.

I diversi elementi dell’inclusione.

É un concetto davvero molto complesso, sia da comprendere che da realizzare fattivamente, anche perché gli elementi da considerare sono molteplici.

Spesso gli insegnanti, per quanta buona volontà e impegno ci mettano, faticano a coinvolgere tutti gli studenti.
Alcuni ragazzi sono chiusi, silenziosi e difficilmente accessibili, altri più dotati di talento possono manifestare comportamenti di insofferenza talvolta inaspettati.
Alcuni allievi sono figli di immigrati, provengono pertanto da culture diverse e spesso non parlano ancora bene la lingua italiana.
A queste differenze individuali si aggiunge poi il numero sempre maggiore di allievi con diagnosi certificata, per esempio di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (dislessia, disgrafia, disortografia e/o discalculia) o di Disturbo dello Spettro Autistico.

Inclusione vuol dire rispettare tutti i diversi funzionamenti e creare un ambiente tollerante e comprensivo. Ma come si può realizzare tutto questo?

Come realizzare un ambiente inclusivo.

Il primo elemento è una buona dose di curiosità verso l’altro, inteso come soggetto ontologicamente diverso, ossia diverso per natura.
In quanto essere umani, dotati di cervelli complessi, siamo tutti intrinsecamente diversi e possiamo incontrarci e conoscerci solo se ci dotiamo di una buona dose di curiosità.
Bisogna fare le domande. Con gentilezza e apertura mentale bisogna chiedere all’altro quello, che non comprendiamo.
E bisogna rispondere alle domande. Con altrettanta gentilezza e umiltà bisogna raccontarsi all’altro, per permettergli di conoscerci.
Solo attraverso un confronto aperto e onesto possiamo conoscere le reciproche differenze individuali, le fragilità e le risorse. E solo attraverso la conoscenza reciproca possiamo sentirci infine realmente apprezzati e parte di qualcosa.

L’inclusione ha tanto a che fare con il senso di appartenenza, con il sentirsi parte del gruppo classe e del gruppo dei pari.
Nel caso specifico della persona autistica la realizzazione di questo senso di appartenenza è ancora più complessa.

Includere una persona autistica nella classe: la sensibilizzazione.

Il punto di partenza è la sensibilizzazione dei compagni di classe.

Per comprendere come rapportarsi proficuamente con il compagno autistico, i ragazzi hanno bisogno di sapere come funziona la mente di una persona autistica, ovvero le sue peculiari modalità comunicative e comportamentali.
Spesso i ragazzi non sanno come approcciarsi, si sentono rifiutati, temono che insistere potrebbe generare reazioni improvvise di rabbia, cosa che effettivamente può capitare. Tutto questo col tempo genera sconforto e comportamenti di evitamento, che lasciano il ragazzo con autismo sempre più isolato.

Fornire alla classe delle informazioni tecniche operative su come abitualmente si comporta una persona con autismo, analizzando insieme agli studenti le caratteristiche peculiari del loro compagno e suggerendo delle strategie di interazione più efficaci, aumenta il loro senso di efficacia e la motivazione a riprovarci.

Dopo la sensibilizzazione solitamente i ragazzi riferiscono di aver provato diversi approcci e di aver notato reazioni di gioia nel loro compagno. Quest’ultima emozione è altamente motivante per loro, aumenta la loro percezione di autoefficacia, il senso di solidarietà e persino il valore personale.

D’altra parte il ragazzo autistico riceve da queste nuove interazioni benessere sia a livello emotivo che psicologico relazionale.
L’interazione con i coetanei infatti ha risvolti importanti anche a livello di apprendimento.
Diversi studi dimostrano che il bambino e ragazzo autistico apprendono con più facilità attraverso il contatto e il confronto con persone della stessa età.

Includere una persona autistica nella classe: il Cooperative Learning.

L’altra strategia per promuovere un ambiente inclusivo per l’allievo con diagnosi di autismo è anche il cooperative learning, che prende la forma di attività laboratoriali in piccolo gruppo.
Con la creazione di gruppi di lavoro con consegne chiare e semplificate, affinché siano comprensibili a tutti gli allievi, il ragazzo autistico trova nel sostegno dei compagni un valido aiuto alla comprensione del compito e alla sua realizzazione.
Il lavoro con i pari lo svincola inoltre dalla presenza pressoché costante della figura educativa dell’insegnante di sostegno.
Il bambino e poi ragazzo autistico cresce infatti in un mondo spesso composto principalmente da figure adulte, perdendo la possibilità di interagire con coetanei e questo con ovvie ricadute anche in termini di libertà di espressione e divertimento.

Il lavoro didattico in piccolo gruppo facilita
inoltre anche l’interazione giocosa in momenti della vita scolastica meno strutturati, per esempio durante l’intervallo.
Abituati a stare insieme per realizzare dei progetti didattici, i ragazzi si troveranno più facilmente a loro agio a interagire anche durante attività di tipo ricreativo.

Attenzione però a ricordarsi che questo elemento cooperativo non deve essere imposto alla classe senza prima aver preparato i ragazzi con funzionamento normotipico all’interazione con i compagni con funzionamento autistico.
Prima bisogna procedere con la sensibilizzazione, solo successivamente con la creazione di gruppi di lavoro misti, altrimenti si rischia di cadere nelle emozioni negative e successive strategie difensive indicate in precedenza (frustrazione, mancanza di motivazione ed infine evitamento).

Includere una persona autistica nella classe: il tutoring.

Un ultimo elemento che può essere inserito in classe, per favorire un clima inclusivo verso l’autismo, è rappresentato dal tutoraggio, ovvero dalla possibilità di affiancare all’allievo autistico un compagno più dotato a livello didattico o in una specifica materia, in modo tale da dare supporto in singole ore di lezione.
In questo caso, è possibile che l’allievo chiamato a fare da tutor si senta appesantito dal ruolo, che gli viene chiesto di avere.
In termini inclusivi è fondamentale chiedere allo studente di esprimere liberamente e senza timori o sensi di colpa la sua reale volontà all’aiuto o meno. Molto importante non esprimere giudizi negativi in caso di rifiuto.
Altrettanto rilevante sostenere lo sforzo di chi accetta l’incarico e rinforzarlo positivamente con premi o vantaggi anche in termini di riuscita didattica o altro in base alle preferenze del ragazzo stesso.
Considerate che, anche in ambito professionale, l’accettazione di un incarico di maggiore responsabilità avviene di preferenza se accompagnato da un vantaggio in termini economici.
Vale lo stesso per i ragazzi!

Il concetto di inclusione è sicuramente complesso e multisfaccettato, ma con accortezze specifiche e la condivisione di informazioni tecniche corrette, è possibile realizzare ambienti scolastici armonici e sereni.

Un buon lavoro a tutti.

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