Il Poliamore a Torino

Torino conta una Community Poliamorosa, che raggruppa circa duecento persone di diverse età e orientamenti sessuali.

Esiste un gruppo di coordinatori, che gestisce incontri mensili tra i membri.

Ogni quindicesimo giorno del mese chi vuole partecipa al PoliAperitivo, un momento molto informale di incontro e conoscenza, che avviene in un pub della città.

Ogni primo sabato del mese ha luogo invece il Polimeriggio, un momento più strutturato dedicato al confronto su diverse tematiche, che di volta in volta vengono condivise con la Community sulla pagina Facebook del gruppo.

Il Polimeriggio di Gennaio

L’incontro mensile del sabato pomeriggio è sempre ricco di spunti di riflessione, che portano alla nascita di nuove consapevolezze meritevoli di condivisione, perché aprono a un modo nuovo di guardare alle relazioni e allo stare in coppia.

Nel corso dell’ultimo incontro i temi oggetto di riflessione erano due: 

  1. iper-performatività 
  2. relazionarsi con i metapartner

Il termine iper-performatività può trarre facilmente in inganno e far pensare al bisogno di mantenere elevato il livello di performance sessuale all’interno della relazione poli.

In verità, la delicatezza delle persone, che hanno consapevolmente fatto una scelta poliamorosa, è tale per cui il termine iper-performatività si riferisce invece al bisogno di gestire in modo equilibrato meccanismi psicologici e relazionali assai complessi, che rientrano nella sfera della gelosia.

Nello specifico, nella locandina di presentazione dell’evento, l’iper-performatività viene descritta come la “perfetta gestione dei meccanismi di compersione, gelosia e insicurezze proprie e altrui”.

Tutto molto bello, ma anche molto complicato.

Intanto, bisogna riconoscere che l’aspirazione a una “perfetta” gestione è degna di grande rispetto, ma allo stesso tempo piuttosto utopica. Personalmente, per deformazione professionale, preferisco parlare di una gestione “equilibrata” tra le diverse istanze in gioco e già mi sembra impegnativo, ma almeno più alla portata di ognuno di noi.

Bisogna poi spiegare cosa sia la compersione, perché molti (anche tra i colleghi) non hanno mai sentito questa parola e non ne conoscono il meraviglioso significato. Ho cercato su google e non si trova nulla.

La compersione è la capacità di provare gioia nel vedere il proprio partner star bene insieme a un’altra persona, con cui ci sia un coinvolgimento anche dal punto di vista sentimentale e/o sessuale.

Quindi, attenzione, non si tratta solo della gioia che si prova vedendo il proprio partner essere accudente verso il cucciolo di casa o verso i propri figli. Qui si parla di un coinvolgimento affettivo verso un altro partner. La cosa risulta molto più articolata e, per i più, difficile da immaginare, figuriamoci da digerire.

Quando accade ciò (sapere che il proprio partner ha una relazione sentimentale e/o sessuale con un’altra persona) l’emozione più comune rientra sotto il cappello della gelosia e si porta appresso un ventaglio impressionante di paure e insicurezze.

I poliamorosi non sono gelosi?

Non si pensi che le persone poliamorose siano immuni a paure, insicurezze e gelosie, perché così non è, anzi sono spesso lo zoccolo duro con cui si trovano a dover fare i conti pressoché quotidianamente, soprattutto all’inizio del loro percorso di vita e di scelta.

Quello che ammiro nelle persone poli è la loro ostinata volontà di migliorare se stessi ad ogni passo, fermandosi a osservare ogni sentimento ed emozione che pervade loro stessi e i loro partner, al fine di meglio comprendere le ragioni profonde di certi loro vissuti, andando al di là di ciò che è socialmente e storicamente dato per assodato.

Uno sforzo immane.

Le domande che si pongono potrebbero essere immaginate pressappoco così:

“perché provo questa emozione e tu, amor mio, perché provi questa emozione?”

e poi “come possiamo gestire meglio queste nostre emozioni, restando insieme e continuando ad amarci?”.

Non si tratta di negare i vissuti emotivi, che si provano e che ci rendono profondamente umani, quanto piuttosto di impegnarsi a meglio gestire le proprie emozioni. Esplorare la rabbia, per utilizzarla in maniera costruttiva, anziché distruttiva. Accogliere la tristezza e darle il tempo di fortificarci. Riconoscere la gelosia e collegarla alle proprie insicurezze. Conoscere le proprie paure e renderle meno spaventose. E così via.

In questi incontri mensili cercano insieme, come Community, di darsi delle risposte e di condividere delle strategie. E il tutto gestito magistralmente dagli admin del gruppo, che si mantengono vigili nell’evitare che emergano atteggiamenti giudicanti.

Cosa s’intende per trasparenza responsabile.

È stato all’interno di questa cornice concettuale che qualche settimana fa hanno iniziato a riecheggiare in me le due parole, che danno il titolo a questo articolo: trasparenza responsabile.

Qualcuno ha portato all’attenzione del gruppo la propria situazione, raccontando di non provare gelosia, ma di essere mess* in difficoltà dalla gelosia dei propri partner.

La prima strategia emersa è stata quella di non nascondere nulla, ma di essere completamente trasparenti nei confronti dei partner, raccontando tutto quello che si è fatto e provato in loro assenza.

La dichiarazione di questa trasparenza si è portata dietro una grossa criticità. Attraverso la condivisione dell’esperienza diretta di alcuni è emerso che questa totale trasparenza può mettere in difficoltà l’ascoltatore.

Non tutti sono pronti o così propensi a voler sapere cosa si è fatto o provato con altri partner.

È necessario avere considerazione di chi si ha davanti, di quelli che possono essere i suoi bisogni e limiti. È importante vedere l’altro e riconoscerlo nelle sue risorse, ma anche nelle sue necessità (di misura o magari di tempo).

Qualcuno ha giustamente usato una metafora da palestra, dicendo che non si può caricare un bilanciere da duecento kg su una persona, che è in grado di sopportarne solo ottanta.

Qualcun altro ha usato la metafora della maratona dicendo che, quando si decide di correre insieme a qualcuno, bisogna poi modulare la propria corsa per allinearsi il più possibile al passo dell’altro.

Qualcun altro ancora ha usato l’immagine dei bambini, che hanno bisogno di essere presi per mano e accompagnati nella loro comprensione del mondo, facendomi venire in mente il concetto psicologico di scaffolding, che indica l’impalcatura sulla quale si basa l’apprendimento, ossia quell’accompagnamento non solo tecnico e cognitivo, ma anche emotivo, con cui una figura più esperta guida un’altra meno esperta nell’apprendimento di un nuovo compito.

La conclusione cui sembra essere arrivato il gruppo è che bisogna saper dosare la conoscenza sulla base del proprio interlocutore, rendendosi pienamente disponibili a condividere se stessi ed essere trasparenti, ma nel pieno rispetto delle possibilità e tempistiche altrui.

Il messaggio da dare potrebbe essere riassunto con le seguenti parole: “sono qui per te e sono pront* a condividere con te tutto ciò che vuoi chiedere e sapere, ma farò attenzione passo passo a come starai, perché ti voglio bene e voglio il tuo bene, quindi ti proteggo”.

Ispirata dai contributi del gruppo hanno iniziato a risuonare in me con sempre maggiore chiarezza le parole: trasparenza sì, ma con senso di responsabilità.

Ovvero: ti vedo, ti riconosco, ti proteggo; così ti amo.

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